DONAZIONI ED EREDITÀ: LESIONE DELLA RISERVA
Il tema del passaggio generazionale dei beni all’interno di una famiglia è sempre di grande attualità, sia nel caso di trasferimento dei beni per atto fra vivi che mortis causa. Pertanto, è fondamentale per chiunque intenda trasferire i propri beni, disporre consapevolmente del proprio patrimonio secondo le regole previste dalla legge, conoscendo i rapporti tra la disposizione dei beni per donazione e la successiva devoluzione ereditaria.
Quali conseguenze può avere una donazione rispetto alla futura successione?
Secondo l’art. 769 c.c., la donazione è un contratto con il quale un soggetto, per spirito di liberalità (e quindi senza corrispettivo), arricchisce un altro soggetto disponendo in suo favore un suo diritto o assumendo verso lo stesso un’obbligazione. Le donazioni fatte in vita dal de cuius (e cioè dal soggetto della cui eredità si tratta), possono comportare, nel successivo momento dell’apertura della successione, una lesione dei diritti degli eredi necessari (i legittimari).
Se infatti un soggetto muore lasciando coniuge, discendenti o ascendenti, a questi è riservata una quota dell’eredità, detta quota di legittima (o riserva). Tale porzione dell’asse ereditario spetta ai legittimari anche contro la volontà del defunto e, quindi, non può essere lesa, né da disposizioni testamentarie, né da eventuali donazioni fatte in vita.
Per fare un esempio al coniuge superstite, oltre al diritto di abitazione sulla casa familiare ed all’uso dei mobili ivi contenuti, è riservata la metà del patrimonio del de cuius, quota ridotta ad un terzo o ad un quarto se questi concorre rispettivamente con uno o con più figli. Ai figli (o, eventualmente, ai loro discendenti), invece, sono riservati, a seconda che essi siano uno o più di uno, rispettivamente un mezzo o due terzi del patrimonio.
Cosa può fare (e quando) l’erede necessario che non si veda assegnata la sua piena quota di legittima?
La donazione effettuata in vita dal de cuius, anche se lesiva dei diritti di un legittimario, è un atto valido ed efficace.
Solo in seguito all’apertura della successione, e cioè con la morte del donante, il legittimario che si ritenga leso nei propri diritti successori può quindi agire in giudizio per ottenere la quota di eredità che la legge gli garantisce, esperendo l’azione di riduzione, il cui termine di prescrizione è di dieci anni dalla morte del donante.
Mentre il donante è in vita, invece, non è possibile tutelare la futura quota di legittima, salvo il caso particolare dell’atto di opposizione stragiudiziale alla donazione, previsto per le donazioni di beni immobili.
Un esempio pratico può forse chiarire meglio i concetti sin qui espressi: Tizio, vedovo e padre di due figli (Caio e Sempronio), in vita dona la casa di famiglia all’amica (Mevia). Nel proprio testamento Tizio dispone di tutti i beni residui, nominando erede universale Caio e tralasciando totalmente Sempronio.
Quali possibilità di tutela, quindi, per Sempronio, figlio escluso dalla successione ereditaria?
Egli potrà agire con azione di riduzione nei confronti del fratello Caio (per la riduzione delle disposizioni testamentarie lesive) e di Mevia (per la riduzione della donazione) al fine di ottenere la propria quota di legittima: questo l’ordine delle riduzioni imposto dalla legge.
Anteriormente all’esperimento dell’azione di riduzione, il legittimario dovrà comunque effettuare la “collazione” (che consiste nell’imputare alla propria quota di legittima le eventuali donazioni che a sua volta abbia ricevuto da parte del defunto), a meno che il de cuius non lo abbia dispensato espressamente dal farlo.
Molte altre norme disciplinano la materia, assai complessa: è bene affidarsi sempre a professionisti di propria fiducia, evitando il “fai da te”.
avv. Carlo Chelodi